domenica 4 dicembre 2016

MOCASSINI PRADA

Capitolo 30


Il mio padrone si avvicina mentre a terra sono impegnato nel lucidare i suoi mocassini Prada nero focato, con la mia morbida lingua.
È un compito molto delicato perché le scarpe del mio signore sono preziose e davvero bellissime.
Sono usate, ma ancora splendide, la pelle morbida e lucida tanto da specchiarsi.
Dei mocassini davvero meravigliosi e profumati di cuoio grasso e di quel lieve umore che amo proveniente dai piedi del mio signore.
E poi, ancora più belle per il fatto che sono le sue e ora le posso toccare con le mie piccole mani di servo.
Il mio signore bellissimo si ferma compiaciuto ad osservare la scena e sembra quasi incuriosito dalla mia tecnica nel cercare di rimuovere del sudiciume rimasto incollato sotto le suole.
Non dice nulla e continua ad osservarmi con attenzione.
Chissà, penso io, forse è ammirato dal mio lavoro, oppure, più realisticamente gli faccio pena.
Propendo per la seconda ipotesi, è più in linea con il carattere fiero e dominante del mio signore.
Come può abbassarsi al mio livello di inferiore!
Si domanderà infatti: ma che razza di essere può desiderare umiliarsi così, arrivando a leccare le scarpe di un altro uomo? È pazzesco!
Alzo appena lo sguardo verso di lui e subito un colpo in testa dato dal suo piede mi riporta con la bocca sulle sue suole.
Mi dice:”vai avanti con quello che stai facendo, schiappa!”
“Non ti distrarre!”
“lo sai vero che hai per le mani delle scarpe di Prada che costano più di 500 euro,valgono molto più della tua stessa vita?”

Che peraltro non vale niente!”
“Le voglio perfette e lucidissime!”
“E cosa è quella schifezza incollata sotto la suola?!?”
“Mio signore”, oso con un filo di voce,”sto tentando di rimuoverla con la mia lingua, ma non riesco!”
Saggiamente il mio padrone suggerisce:”usa i tuoi incisivi per sollevarla, ma stai attento a non rigare la suola! Altrimenti poi sarò io a rigare te!!!”
Seguo il suo consiglio. Il mio padrone è davvero intelligente.
Avvicino la scarpa alla bocca in corrispondenza del grumo di sporcizia.
Sento un vago odore di menta, deve essere una gomma da masticare che il mio padrone ha calpestato, ed a cui poi si è attaccato di tutto.
Nel grumo, ormai nero di sporco e asfalto, distinguo peli, un lungo capello, un mozzicone di sigaretta e...
Meglio non guardare oltre.
Il mio padrone sopra di me attende, ma la sua pazienza ha un limite:”schiavo, vuoi fare sparire quella merda da sotto le mie scarpe!”
“Cosa aspetti, cazzo!”
“Mi perdoni signore, provvedo subito!”
Avvicino la bocca, che con le labbra lambisce il grumo sudicio, e con i denti comincio a scalzarlo.
Si solleva per intero, come suggerito dal mio re, ma con i filamenti tipici di una gomma già masticata da tempo, anche se è rimasta ben incollata sotto la suola dei mocassini del mio padrone.
E poi precipita, con tutto il suo corredo di schifezza sulla mia lingua, che lo attende rassegnata.
Osservo la suola della scarpa che è tornata perfettamente pulita e anzi, più limpida delle zone circostanti.
“Ingoia!!!” Ordina il mio padrone.
Mentre un pugno dolorosissimo si schianta nel mezzo della mia schiena, lasciandomi senza fiato.
Ho le lacrime agli occhi, ma nascondo il mio viso per non essere visto.
Cerco in bocca di produrre saliva sufficiente per ingerire il triste boccone poi, al momento opportuno, lo lascio cadere verso il fondo della gola e via dentro di me.
Subito un conato di vomito mi percorre tutto il corpo, ma per fortuna riesco a ricacciarlo indietro, in profondità.
Il mio padrone:”hai visto che non era poi così difficile, merda che non sei altro?!?”
“Sono certo che sia stato di tuo gusto!”
Ride il mio signore della sua battuta e ancor più del potere che ha su di me.
Io annuisco e ringrazio del cibo che mi è stato offerto.
“E adesso vai avanti a leccare le scarpe, domani ho una riunione e devono essere splendenti.”
“Certo mio signore, la ringrazio per questo generoso compito”, oso...
“Schiavo, lo vedo bene che ti sto facendo un grosso regalo facendoti leccare le mie Prada.”
“Il tuo cazzo parla da solo.”
E in quel momento un calcio degno di un rigore termina la sua corsa tra i miei testicoli.
Mi sembra di svenire dal male.
Il mio padrone si accorge che il mio capo vacilla e mi prende la testa con la mano spingendola contro lo stipite della porta e schiacciandola contro la sua gamba per tenermi in piedi.
Resto interdetto alcuni istanti, poi mi riprendo.
Il mio corpo è percorso da brividi e ho un profondo senso di nausea, ma per il mio signore bellissimo fingo che sia tutto sotto controllo.
E dico sottovoce:”va tutto bene signore. Mi perdoni.”
“Lavora schiavo!” Mi sento apostrofare.
“Tira fuori quella tua lingua cenciosa e vedi di far risplendere le mie scarpe a dovere.”
“Sei fortunato che stasera hanno sospeso l'allenamento di calcetto, altrimenti più tardi avresti avuto da pulire anche le mie scarpette infangate.”
“E con il tempo piovoso di questi giorni...”
“Ti avrei portato a casa un bel dessert a base di fango.”
“Povero schiavo, che vita infame, non è vero, piccolino?”
Il mio signore è canzonatorio e si prende gioco del suo suddito.
E così continua a schernirmi.
“Ma in fondo te la sei scelta tu questa vita, nessuno ti ha obbligato o sbaglio?”
“È anche vero però che se uno nasce schiavo, non può certo pensare di poter vivere diversamente.”
Abbasso a terra lo sguardo pietosamente , mi vergogno di me stesso davanti a lui.
Sono davvero un miserabile.
Il mio padrone se ne accorge e infierisce ancora sulla mia debolezza.
“Schiavo, hai forse sete?”
“Con tutta la sporcizia che stai ingoiando, avrai sete di sicuro?”
Ed io ingenuamente:”signore, grazie, un bicchiere di acqua sarebbe la mia salvezza.”
“Schiavo...schiavo...mi risponde, farò di meglio per te!”
E severamente mi comanda:”apri la bocca che devo pisciare!”
Resto deluso, credevo in un gesto umano del mio signore.
Ma sono anche ammirato nel vedere il membro possente del mio re, che si appoggia sulle mie labbra e presto viene premuto nella mia bocca.
Pochi secondi e un fiotto di urine calde mi invade e inizio a ingollare il prezioso liquido.
Ormai sto diventando esperto e quasi trovo piacevole quel getto che stuzzica la mia gola facendola bruciare ad ogni sorso.
Il mio signore ha quasi terminato.
Finito, fa uscire il suo pene appoggiandolo sulle mie labbra ove cadono ancora alcune gocce di urina.
Le lecco via con la lingua.
Le assaporo fino all'ultimo.
Poi il mio padrone asciuga il suo membro umido sulla pelle della mia faccia per poi rimetterlo nei suoi slip.
Io avvicino il viso a quella forma che emerge dal suo intimo e simula il suo cazzo eccitato e vigoroso.
Lo sfioro, lo bacio, annuso il suo aroma di maschio.
Poi, più triste che mai, abbasso a terra lo sguardo e col viso fisso il pavimento.
E sento le lacrime salirmi agli occhi perché penso:”ma perché non posso essere un semplice amico per il mio padrone, piuttosto che subire tutta questa umiliazione, solo per potergli stare accanto?”
“Perché vivo in questo modo?”
“Perché sono uno schiavo?”
Il mio signore bellissimo si accorge che qualcosa non va, forse le mie lacrime hanno bagnato i suoi nobili piedi impunemente.
Il suo palmo solleva il mio viso, ma i miei occhi non hanno il coraggio di guardarlo e restano verso il basso, a terra.
Lui mi ordina di guardarlo negli occhi subito.
Io ubbidisco, riluttante a farmi vedere in lacrime.
E il mio padrone:”schiavo, stai piangendo?”
Io:”no signore, è solo stanchezza.”
“Non dire cazzate servo! Tu non puoi essere stanco! Cosa sono quelle lacrime? Cosa c'è che non va?”
“Non è tutto perfetto?”
“Io ti comando e tu mi servi devotamente.”
“Io ordino e tu esegui.”
“Io ti punisco e tu subisci.”
“Cosa puoi desiderare di più?”
“Sei una merda e comunque io ho dato un senso alla tua esistenza.”
Vorrei scomparire sotto terra davanti al mio re, poiché so che il mio padrone ha ragione.
Ma non è possibile e il mio signore attende una risposta.
Come spiegargli le mie lacrime.
Come fargli capire che il mio dolore non ha un inizio e una fine.
Come sperare in un gesto che mi possa consolare.
Provo a improvvisare una risposta, ma le mie parole non hanno voce.
Il mio padrone alto e gagliardo sopra di me, ora mi scruta con aria compassionevole.
La sua mano si posa sul mio capo come se fossi un bambino ferito.
Anche lui non parla, ma il nostro silenzio è molto eloquente.
Il tempo sembra essersi fermato fino a quando il mio signore bellissimo sospira pesantemente e si lascia sfuggire queste parole:”lo sapevo che prima o poi saresti scoppiato.”
“Non vali davvero nulla. Cazzo! Con tutto quello che ho fatto per te!”
“Schiavo, raccogli le tue cose che ti riporto da chi ti ha venduto.”
Ed io singhiozzante:”signore no!”
“La prego, mi perdoni! Non accadrà mai più.”
“La prego, mi perdoni!”
“Mi uccideranno se sapranno che ho fallito.”
“Nessuno vorrà più un servo come me.”
“E se non mi uccideranno loro, sarò io a togliermi la vita.”
“Che senso avrei?”
Il mio signore è scuro in volto:”così dovrei tenerti io, schiavo incapace.”
“Signore”, invoco,”mi tenga con se, farò tutto ciò che vorrà.”
“Ubbidirò a qualsiasi comando.”
“Io non ho più senso se lei mi getta via.”
“La prego.”
Il mio padrone si divincola dalla mia presa disperata e si allontana.

Ma prima di lasciarmi solo, la sua voce mi rianima:”schiavo, continua il lavoro che stavi facendo...”
E la mia lingua ricomincia a leccare i mocassini Prada del mio signore.




Schiavo Luca

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