martedì 27 dicembre 2016

DOMENICA MATTINA

Capitolo 43


Dopo una nottata trascorsa al limite di un supplizio interminabile e di cui le mie braccia portano ancora i segni, vedo le prime luci di una nuova alba e attendo di essere liberato.
La notte, dolorosa e sofferta per le corde che mi legavano, si è tinta di un ulteriore elemento inquietante quando, verso le tre del mattino, si sono sentiti degli inequivocabili rumori riconducibili ad una intensa attività sessuale.
Il mio pensiero e la mia gelosia sono subito corse al mio signore mentre lo immaginavo alle prese con Erik nella ricerca di un piacere che io non potrei mai dargli.
Poi, a mente più lucida e ricordando la disposizione delle camere della casa, mi è venuto in mente che proprio sopra la mia testa c'era la camera da letto del mio addestratore.
Di conseguenza, la più probabile ipotesi, poteva più facilmente essere ricondotta a lui ed Erik, intenti in un amplesso acrobatico.
Ma solo rivedendo il mio padrone, avrei potuto dare una risposta a questo interrogativo notturno.
Ancona nel silenzio del primo mattino, ecco aprirsi la porta e il mio addestratore avvicinarsi silenzioso a piedi nudi, quasi come una pantera che si aggira per la gabbia pronta a saltare sul pezzo di carne lasciato apposta per essere squartato.
Ora è davanti a me e per liberare le mie braccia anchilosate dal calorifero a cui sono state appese e quasi disarticolate, si sporge, premendo il suo sesso morbido racchiuso nei sui slip contro il mio viso.
La mutanda è bagnata e mi ricopre tutta la faccia, quasi soffocandomi.
Un odore intenso di sesso, urine e sperma mi invade le narici.
Un aroma che conosco fin troppo bene, ma che ora, dopo aver servito il mio padrone, mi disgusta.

Allo stesso tempo però mi consola, confermando quell'ipotesi di amore clandestino che ha tormentato la mia notte.
Cado a terra come un sacco di patate e gemo per il dolore alle braccia.
Lui impietoso, non solo mi insulta, ma inizia a prendermi a calci dappertutto.
Solamente in posizione fetale riesco a sopportare i colpi e le botte che ricevo.
Intanto mi offende e mi insulta:”figlio di puttana! Che figura mi fai fare!” “Sei un miserabile!” “Sei una merda!”
Io non oso controbattere.
Taccio.
Mi chiudo in me stesso e vorrei spegnere l'interruttore della mia vita.
I calci finiscono, ma non ho il coraggio di aprire il nido protettivo fatto delle mie stesse carni.
Ma non devo attendere molto, ci pensa il mio carceriere a ridarmi una forma umana.
Mi fa mettere in ginocchio e dice:”merda, apri la bocca! Devo pisciare!”
Così inizio la mia bevuta, aspra, amara, tossica poiché il mio addestratore è fumatore e nelle sue urine si concentrano tutti gli scarti delle infinite sigarette che succhia avidamente fino al filtro.
Vorrei vomitare piuttosto che ingerire quel veleno.
Addirittura mi risulta difficile ingoiare, ciò che invece mi è congeniale col mio padrone.
Ho paura di rigettare il piscio sul tappeto, di non farcela.
Ma poi tutto si svolge come vuole il mio addestratore.
Mi afferra la gola con la sua forte mano.
La stringe e la rilascia più volte come fosse una molla fatta di cartilagini.
Così si rilassa la muscolatura e finalmente il liquido può scorrere dentro di me con naturalezza.
Lasciata la presa e terminata la pisciata, la mia gola inizia a farmi male. Male per davvero.
La stretta del suo pugno è stata brutale e il mio collo e la laringe ora ne pagano le conseguenze.
Ma questo problema, riguarda solamente me e il mio futuro.
Sempre che io ne possa avere ancora uno, domani.
Ora il mio addestratore siede sul divano in pelle e mi fa cenno di strisciare da lui.
Ubbidisco.
Poi, poche parole:”ora parla!”
“E cerca di essere convincente!”
La mia arringa di difesa, ha più i tratti di una invocazione pietosa.
E non nego che i miei occhi siano a terra a fianco dei suoi piedi, tanto mi sento inferiore e in difetto.

Mi appello a lui chiamandolo padrone, anche se il mio vero ed unico padrone è altrove.
Inizio, non so come:”padrone, io non valgo nulla, non merito niente e non sono niente.”
“Lo so, i suoi insegnamenti non sono stati vani e mi hanno reso consapevole della mia nullità.”
“Padrone, lei mi ha cresciuto e mi ha forgiato, ha piegato le fibre del mio corpo come ha voluto per farmi diventare uno schiavo adatto a servire altri uomini.”
“Padrone, io le devo tutto, perché la mia vita ora ha un senso e prima non valeva assolutamente nulla.”
“Padrone, da quando mi ha ceduto al mio attuale signore, la mia esistenza è cambiata, il mio esistere è vero, la mia giornata ha uno scopo.”
“Padrone, io sono felice grazie a ciò che lei ha fatto di me.”
Bruscamente mi interrompe:”MA ALLORA CHE CAZZO VUO!!!???”
Riprendo tremante:”Padrone, io ecco, vede, Padrone, io credo.”
“Mi sto incazzando”, sbotta!!!
Di nuovo:”Padrone, io, io...”
“IO AMO IL MIO SIGNORE!!!”

E con quell'affermazione sento il mio cuore scoppiare.
L'addestratore trasecola prima di stamparmi il secondo pugno sul muso.
Io penso di svenire sul colpo, ma lui mi afferra come una bambola di pezza.
Tonando:”TU NON SAI COSA STAI DICENDO!!!”
“TU, SCHIAVO DI MERDA, STAI BESTEMMIANDO!!!”
“NON TI RENDI NEPPURE CONTO CHE HAI DETTO LA CASA PIÙ SBAGLIATA CHE POTEVA PASSARE PER LA TUA MISERA TESTA DI CAZZO!!!”
“MA ADESSO CI PENSO IO A CAMBIARTI I CONNOTATI!!!”
“NON TI PREOCCUPARE!!!”
“SEI FINITO, IMBECILLE CHE NON SEI ALTRO!!!”
E detto questo, dopo aver premuto a terra un pulsante che apre una porta segreta nella parete di fondo, nascosta da una libreria, mi trascina in una seconda stanza che non è più una camera, ma una vera e propria sala operatoria.
A questo punto perdo i sensi e svengo a terra ai piedi del mio addestratore.
Cosa ne sarà di me!?




Schiavo Luca

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