Capitolo
18
Buongiorno
mio principe, mio signore, mio amore a cui dedico questo saluto e la
mia vita tutta.
Il mattino lontano dal mio signore è come
risvegliarsi nel più terribile dei deserti ove neppure un filo di
acqua o una piccola ombra possa difendermi.
Il mio padrone è il
mio scudo, il mio riparo e il mio nutrimento.
Senza il mio
padrone, il suo schiavo perde qualsiasi significato ed utilità,
ritornando ad essere quella polvere da cui lei stesso mi ha fatto
emergere.
Ma non voglio stancare il mio re con queste tristi
parole, ma renderlo orgoglioso e grande.
Onorare il mio padrone
con le mie parole, perché sappia quanto lo ammiro e lo amo.
Quanto
lei sia importante ed io piccolo, minuto, insignificante davanti a
lei.
Come il mio signore prepotentemente vive la sua vita da uomo,
mente il suo schiavetto sopravvive malamente trascinandosi ai suoi
piedi.
E mi intenerisce il mio padrone quando, vedendomi la sera
con la mia lingua a detergere i suoi piedi, mi dice:”ma non sei
ancora stanco del mio sudore?”
Amo il mio signore bellissimo
quando ovviamente non capisce il mio stato di servo.
Lo amo ancora
di più perché mi fa comprendere quanto sia regale il suo pensiero
da non concepire il mio gesto di sottomissione.
E sono davanti ai
suoi piedi, a pochi millimetri dalla mia bocca.
Mi siedo a terra e
vicini al mio viso, sollevati sopra il pouf e posizionati proprio
all'altezza della mia lingua.
Sento il suo odore di maschio che
entra nelle mie narici.
È lieve, delicato, mi eccita.
I piedi
del mio principe non puzzano mai, anche dopo giorni.
Al massimo si
sente il profumo della sua pelle o delle scarpe che ha calzato
durante il giorno.
Un aroma che mi riempie il cuore e mi fa
sentire vivo.
Io li bacio, li adoro, li sfioro con le mie mani.
Me
ne prendo cura con amore e non distolgo mai lo sguardo da essi.
Certe
volte però mi perdo a osservare il suo viso, mio principe, ma col
solo scopo di vedere il suo compiacimento nel vedermi
sottomesso.
Poi, il mio posto è ai suoi piedi.
Non altrove,
non avrei senso!
La mia lingua è avida, lo confesso.
La mia
lingua si fa sottile per scivolare delicatamente tra un dito e
l'altro, dove so che il mio signore gradisce il mio fresco ristoro.
E
insisto in quei punti ove sento che si è depositato dello sporco o
la sua pelle è secca, per rimuoverla.
Per liberare il suo piede
da ciò che è inadatto e indegno.
E mi cibo di questi scarti, di
queste piccole pelli del mio signore che sono il mio vizio serale.
Mi
sento un po come quei piccoli pesci nelle vasche costretti per
sopravvivere a cibarsi della pelle morta dei piedi di quei turisti
che per gioco vogliono provare questa insolita esperienza.
Ma se
per questi uomini è un piacevole divertimento, un solletico sotto i
piedi, per i disperati “pescetti” è la loro vita stessa ad
essere in gioco.
Chiusi per sempre in quella vasca a ingoiare la
sporcizia dei piedi che in essi verranno immersi.
Ed io cosa sono
di diverso per il mio principe?
Non sono forse anche io un piccolo
pesciolino che si ciba della pelle e del sudore dei suoi piedi?
Lei,
mio re, siede comodamente sul suo divano e immerge i suoi piedi nella
mia più delicata premura.
Lei è rilassato e disteso, mentre il
suo schiavo si contorce per arrivare con la sua lingua anche in punti
difficili da raggiungere.
Ma è il compito dello schiavo questo,
non certo un suo problema agevolare il mio lavoro.
Io pulisco i
suoi piedi ogni sera e sono felice di sapere che da quando ho
cominciato questo servizio lei non ha più reputano necessario
lavarli diversamente.
Questo mi onora mio signore, e mi dona una
gioia immensa.
Sono io il lavacro del mio padrone.
Grazie mio
signore del compito di cui mi reputa degno.
Schiavo
Luca
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