martedì 8 novembre 2016

I CAPEZZOLI DEL SUO SERVO

Capitolo 13




Eccomi al mio signore e padrone.
Anche oggi, come sempre, ma con nel cuore alcuni interrogativi e tanta ansia.
Il mio padrone infatti vuole conoscere l'anima più profonda del suo servo e mi interroga sui motivi che mi portino deliberatamente a farmi squarciare i miei delicati capezzoli dalle sue forti mani.
E il dolore che provo è ben chiaro al mio signore, lui stesso ne è l'artefice o meglio il carnefice.
Lei, mio signore, spreme la mia materia di servo, e sente le mie mani che afferrano le sue forti braccia per trovare il coraggio di sopportare il male che in quel momento sto subendo in silenzio.
Eppure, nonostante la sofferenza fisica sia atroce, io apro la mia maglia e porgo i miei capezzoli al mio padrone con docilità.
Addirittura oso accompagnare le sue dita su quel patibolo di sangue che è il mio petto.
E vorrei poter mentire al mio principe, magari inventando un senso logico, ma sono il suo schiavo ubbidiente e cerco con lei i motivi reali e ciò che mi induce a questo supplizio volontario.
Ormai i miei capezzoli sono sempre sanguinanti e basta poco per aprirli, così il dolore diventa presto folle e intollerabile.
Ma non rinuncio e ancor più mi spingo verso le sue dita per trovare un supplizio sempre più alto.
Un dolore che non abbia fine.
Una ferita che non si rimargini mai.
Il motivo...?
Forse il senso non esiste, oppure è il mio tributo di sangue verso ciò che non sono né potrò mai essere.
Forse è la mia inadeguatezza.
Forse il mio essere sbagliato a priori.
Forse vedere il mio signore così uomo mi spinge ad abbracciare la sofferenza come un martirio per chiedere inconsciamente perdono.
Ma ciò che più conta è il dolore che desidero necessariamente.

Come le sue urine, come le suole delle sue scarpe, come umiliarmi ai suoi piedi.
Tutto ciò è simile e serve inevitabilmente perché io viva fisicamente un dolore carnale.
Il vero perché, è da ricercare lì.
È lì la radice più intima del mio tormento.
Un male che mi divora e cerca di impossessarsi di me, crudelmente, subdolamente.
Così, come ricerco in lei il mio supplizio, alla stessa maniera invoco la protezione del mio signore e principe.
E piango sul suo petto trovando conforto.
Ma questa difesa ha un costo, un tributo da versare a lei, mio padrone.
E penso a quanta rassegnazione mi induca a consegnare a lei la mia fragile vita senza scudi a difendermi.
Così, con tragico abbandono.
Inoltre sento che questa mia assurda perversione provoca in lei un lieto piacere, che cresce voglioso in mezzo alle sue gambe.
Il godimento del mio signore è la priorità della mia vita, pertanto non posso sottrarmi a ciò che lo provoca, anche se ciò è per me doloroso e fonte di sofferenza.
Il suo pene cresce e si esalta della mia sudditanza.
Lo sento, è un piacere sadico il suo, che si completa nel mio dolore masochista.
Sono le due facce della stessa medaglia.
E io sono nudo davanti al mio signore e padrone.
Mi consegno davvero senza riserve al dolore e alle sue mani che amo.
Forse il mio dolore è il tributo che sento di dover pagare per non essere alla sua altezza o perché mi accetti nonostante sia consapevole di essere complicato e inadeguato.
Una sorta di giocattolo rotto che, pur di restare nella camera del suo bambino, è disposto ad essere fatto a pezzi e smembrato.

Ma non può lasciare la stanza dei giocattoli, pena l'essere gettato nella spazzatura.
Signore, perché penetrare così dolorosamente in una profondità tanto oscura quanto è la mia mente?
Perché curarsene?
Lei che è il mio padrone, goda e usi il mio corpo finché potrà?
Perché voler capire ciò che senso non ha?
Io sono suo ora.
E sono pronto ad accettare qualsiasi cosa pur di avere anche solo un piccolo sorriso dal mio principe.
Goda del mio servizio e del mio corpo, la prego.
Mi consumi fisicamente.
Mi addomestichi per il suo piacere.
Mi schiacci a terra sotto i suoi piedi, ed il mio amore per lei sarà sempre più grande.
Mi distrugga mio signore, apra il mio corpo colpevole.
Fortunatamente so che non lo farà mai, perché dentro al suo cuore io riesco a vedere che è capace di provare amore.

E mi illudo: forse un amore più grande del mare.
Chiedo umilmente perdono per la libertà di queste mie tristi parole.


Schiavo Luca

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