venerdì 30 dicembre 2016

OLTRE LA REALTÀ

Capitolo 46


Come cambia rapidamente il tempo in questi giorni d'autunno.
Guardo fuori dalla finestra e piove a dirotto.
Un fiume d'acqua scorre contro i vetri e io resto lì ad aspettare.
Sotto, lungo la strada un mondo intero pare affollarsi: passanti che corrono sotto gli ombrelli, auto che sfrecciano come motoscafi alzando ondate di acqua nera, foglie che cadono.
Io, nell'angolo della finestra osservo e quasi mi nascondo, per morire qualche istante soltanto per me.
Mi assale una tristezza senza fine.
Un dolore che mi vince e non so gestire.
Poi...sento aprirsi la porta di casa.
È il mio signore che torna dal lavoro.
Asciugo il mio viso e la mia tristezza nel polsino della camicia e mi avvicino all'ingresso per salutare il mio re.
Eccolo: bellissimo come sempre, come in ogni mia fantasia.
È tutto bagnato, lui non è come quegli sfigati che usano l'ombrello.
Lui è forte, potente, massiccio e non teme certo qualche goccia di pioggia.
Io intanto mi attivo subito per togliergli di dosso l'impermeabile ed asciugarlo.
Poi ovviamente il mio rispetto e la mia umile prostrazione ai suoi piedi.
Le mie labbra baciano le sue Dr Martens nere, lucide, un po' infangate.
Ma ciò ai miei occhi le rende ancora più affascinanti.
Allento con cura i lacci, sfilo il piede del mio padrone, lo bacio con amore e lo aiuto a calzare le sue ciabatte da casa.
Riscaldo i suoi piedi con le mie mani e poco importa se io, a terra, mi gelo le gambe.
Lui sembra apprezzare le mie premure, poi mi scavalca quasi fossi un ostacolo e sparisce nelle sue stanze.
Io resto in ginocchio nell'ingresso, in quella fioca luce che sembra quasi accompagnarmi verso l'oblio.
Poi...

...
“Ma Sig.Luca, quante volte glielo devo dire che tutto questo insieme di sogni o come le chiama lei ,visioni, non sono altro che delle false proiezioni in cui si rispecchia, ma non appartengo alla realtà.”
“Deve immaginare questi momenti come dei miraggi che a volte, posso essere talmente realistici dal risultare veritieri.”
“Ma sono solo fantasticherie della sua mente.”
Io:”ma dottoressa, come può essere tutta una semplice finzione?”
“Come è possibile che io ne rimanga così succube da farmi condizionare a tal punto.”
“Mi aiuti la prego, mi aiuti a capire, sono disperato e non riesco a trovare il bandolo della matassa.”
“Mio caro Luca”, continua la psicologa,”lei è ancora così giovane e sensibile.”
“È un'anima pura per così dire.”
“E forse, proprio per questo, le sue fantasie la turbano tanto.”
“Ma deve stare tranquillo, vedrà che col tempo imparerà a convivere con i suoi demoni.”
“Tutti abbiamo nella nostra testa questo genere di retaggio psicologico che ci proviene dal passato.”
“Chi per cause familiari, chi per un trauma infantile, altri per una delusione o chissà, i motivi posso essere infiniti.”
“Ma alla fine portano tutti al medesimo risultato: ovvero la personalità specifica di ognuno di noi.”
“E pensi, Luca, pensi davvero a quanto questo patrimonio è differente e vario da individuo a individuo.”
“Così anche lei, a pieno diritto, ha il suo piccolo mondo interiore, che a questa età si sta affacciando nella sua esistenza.”
“Luca, essere schiavo di un altro uomo, non sarà forse la mancata accettazione del suo essere gay?”
“Provi a pensarci con calma.”
“Rifletta e ritorni con la mente a tutti i sogni e alle fantasie sessuali che mi ha raccontato in questi mesi.”
“Non è poi così improbabile o azzardata questa analisi.”
“Anzi direi abbastanza semplice, non trova?”
“Lei non si approva e quindi si punisce, si umilia, si fa calpestare, lascia il suo esistere nelle mani di un uomo che lei vede come una sorta di dio terreno da adorare.”
“Un idolo moderno, con tutto il suo corredo di stereotipi alla moda, da venerare.”
“Ma che lei ovviamente non potrà mai raggiungere, perché non è all'altezza.”
“Perché lei è convinto di non valere niente, arrivando persino a sostituirlo in sua assenza con i feticci tipici di ogni trattato di psichiatria.”
“I piedi, le scarpe, gli indumenti intimi del suo padrone...”
“Cosa sono, Luca, se non delle ancore di salvezza a cui aggrapparsi al bisogno?!”
“Luca, rifletta davvero questa volta sulle mie parole, e la smetta di sognare ad occhi aperti.”
“Per il nostro prossimo incontro, la prego di ragionare seriamente su quanto le ho detto.”
Io:”dottoressa, ha ragione, le prometto che cercherò di essere razionale e di lasciare queste follie ai sogni della notte.”
“Luca, cerchi piuttosto di imparare a conviverci con serenità, perché queste illusioni fanno parte di lei.”
Sulla porta dello studio stringo la mano alla dottoressa, dandoci appuntamento alla prossima settimana.
Scendo a piedi le scale del palazzo così da poter riflettere e ancora sono turbato.
Tutto un sogno dunque!
Tutto frutto della mia mente!
Tutto una fantasia!
Esco e sono nella folla.
Solo! Ancora una volta solo!
Una fiumana che quasi mi scavalca.
Un passo e senza volerlo inciampo e per un pelo non vengo investito da una grossa moto nera ruggente.
Mi rialzo e cerco di scusarmi per l'imprudenza con il centauro.
Neppure una parola da sotto il casco scuro.

Il tempo sembra infinito in quei rapidi secondi.
Solo il rombo del motore e lo “sgasare” nervoso,mi riportano al presente.
Osservo meglio il motociclista e noto che ha qualcosa di famigliare.
Giubbotto in pelle, sotto cui si intravede una maglietta bianca.
Jeans attillati e ai piedi un paio di Dr Martens nere, lucidissime.
Tremo...
Ma non è tutto frutto della mia mente?
La sua destra tiene in pugno un secondo casco e me lo lancia con forza.
Riesco a pararlo incassandolo nel petto.
Una sola parola è necessaria:”sali!”
E con un rombo potente della sua Kawasaki W80, divoriamo l'asfalto che ci separa dalla realtà.




Schiavo Luca

giovedì 29 dicembre 2016

SUO FINO ALLA FINE

Capitolo 45


Sono solo!
Mi rendo conto solamente oggi che, escludendo il mio signore, non ho nessuno al mondo.
Praticamente un orfanello.
Consapevolmente so che, se dovessi morire da un momento all'altro, nessuno se ne accorgerebbe.
Tranne certo il mio padrone, ma solo perché gli creerei il problema di dover cercare un sostituto.
Ma per tutto il resto, sono solo!
Così, tristemente amareggiato, e con il cuore gonfio di commozione, mi rivolgo al mio re, per trovare una risposta, mentre lui è tutto intento col suo tablet in altre conversazioni.
Oso:”signore, posso disturbarla?”
E lui ruggendo:”schiavo, ora non mi scocciare! Non vedi che sono impegnato?”
Ricaccio indietro le lacrime che si sono affacciate ai miei occhi e chino a terra lo sguardo per non mostrare al mio dio la miseria che mi affligge e che è parte della mia sostanza di schiavo.
Resto però vicino a lui, o meglio mi acciambello ai suoi piedi come potrebbe fare un cane, in segno di umiltà e appartenenza.
Ma nella mia testa di servo, continuo ad arrovellarmi su quei pensieri di morte che non mi lasciano neppure se contemplo la meravigliosa figura estatica del mio padrone.
E giaccio in un mare angoscioso di inquietudine.
Dopo un tempo che non so contare, il mio padrone lancia il suo cellulare sul tavolo e mi chiama:”schiavo, avvicinati e abbassa le mutande!”
So già cosa vuole il mio signore.
Così, allento i pantaloni, gli slip e, avvicinandomi a portata di mano, sollevo il mio pene e adagio i miei piccoli testicoli nella grande mano aperta del mio re, che li pretende nel suo pugno.
Ormai questa è diventata una abitudine serale a cui il mio signore non vuole rinunciare.
Ed io mi consegno volentieri a lui poiché è il mio padrone ed è maschio, mentre io sono solo uno schiavo, il cui sesso non ha senso.
Tra poco il dolore che la sua mano imporrà alle mie palle, si diffonderà come un incendio fin nei recessi più lontani del mio corpo.
Io attendo in silenzio, ma con consapevolezza, sapendo che quel supplizio non si farà certo attendere.
Il suo pugno si chiude lentamente e all'interno i miei testicoli si giocano uno spazio sempre più ridotto fino a risultare inesistente.
Mi divincolo appena, perché è impossibile restare immobili sotto questo tormento.
Ma ciò disturba il mio padrone:”schiavo! Stai fermo e subisci!”Mi grida.
Ma un signore non può certo sapere quanto vorrei gridare il mio dolore.
Ed io mortificato senza fiato:”mi ppppperrrdoni ssssignnnnore.”
Anche le parole escono dalla mia bocca distorte dal male.
Ma non posso altrimenti.
Accetto questo martirio pensando che in fondo è il giusto e legittimo tributo che devo al mio signore per poter stare con lui.
Soprattutto dopo avermi salvato la vita.
Lo amo sopra ogni cosa, pertanto il mio destino è nelle sue mani.
E in questo caso, anche il mio futuro sessuale.
Ma che poi, pensandoci bene, non esisterà mai.
Poi lentamente, come è iniziato, il dolore si attenua e la mano del mio signore allenta la presa e mi libera.
Io, follemente, vorrei riconsegnare ciò che resta dei miei testicoli nella sua mano per una seconda sessione di dolore, per fargli davvero comprendere quanto io gli appartenga.
Quanto io sia davvero pazzo per il mio signore bellissimo.
Ma lui è già distante e quel palmo, che poco prima mi torturava, ora torna a stringere il suo tablet.
Però nel frattempo distrattamente mi parla:”schiavo, prima mi stavi dicendo???”
Io, forse perché stravolto da quel supplizio di castrazione, quasi dimentico anche dove mi trovo.
Ma il mio padrone domanda e attende una risposta.
Così ricordo il mio angoscioso enigma e invoco il mio idolo.
“Signore, ecco, mi domandavo: cosa sarà di me quando morirò?”
“E lei, mio signore, troverà un nuovo schiavo per i suoi piedi?”
Incuriosito dalle mie inquietudini, mi osserva in viso, quasi stupito da queste domande tanto profonde.
“Schiavo!” Mi dice:”hai intenzione di lasciarmi? Stai per schiattare?”
“Ti ho già salvato una volta, guarda che non ho intenzione di fare il bis.”
Ed io:”no signore mio. Non credo, ce ne sia bisogno per ora.”
Lui ribatte:”in fondo non ci sarebbe da stupirsi, con la vita che fai.”
“Ha del miracoloso che tu sia ancora vivo.”
“Tra ciò che ti faccio ingoiare a forza e quello che butti giù da solo quando lecchi le mie scarpe, devi avere un fegato grosso come un pugno.”
“Ma finché dura, non vedo perché preoccuparsi. Non trovi schiavo?”
“Il tuo predecessore, non era durato tanto. Si vede che tu sei nato proprio per essere schiavo!”
“Voi schiavi dovete avere degli anticorpi davvero speciali.”
E ride della sua battuta il mio signore
Proseguo:”ma vede padrone”, oso,”io non sono in pensiero perché dovrò morire.”
“Se poi ciò avverrà per lei, la mia fine sarà bene accetta e avrà un senso.”
“È ciò che verrà dopo che mi lascia questi interrogativi.”
“Schiavo”, quasi pietoso il mio signore,”ma che pensieri tristi ti affliggono.”
“Come sei riflessivo in questo periodo.”
“Dopo ciò che è successo sei diventato ancora più cupo su certi argomenti.”
“Invece di vedere il lato positivo, pensi sempre al peggio.”
“Ma perché?”
Io:”mi perdoni signore, mi dispiace, dimentichi quello che ho detto.”
E faccio per lasciare la stanza ancora più abbattuto.
“Schiavo”, mi richiama il mio padrone,”resta qui ai miei piedi.”
“Ciò che dici ti fa onore e non devi sentirti sbagliato per questo.”
“Oggi mi sento in vena di consolarti, schiavo.”
“Alle volte mi fai davvero pena.”
“Innanzi tutto devi pensare che la tua misera esistenza, fino a quando avrai la fortuna di viverla al mio servizio, sarà stata spesa al meglio.”
“E poi con me non ti manca nulla, vero schiavo!?”
Il suo tono non ammette repliche e ringrazio il mio signore per la generosità che mi dimostra sempre.
Il mio padrone è sicuro di sé anche quando si avventura su argomenti a lui poco congeniali.
“Sul dopo...schiavo, ma che domande ti fai?”
“Già il tuo presente è patetico, cosa te ne frega di cosa ne sarà di te dopo la tua morte?”
“Vede padrone...” oso
“Taci schiavo! E ascolta!”
“Sicuramente tu morirai prima di me, pertanto ti voglio rassicurare.”
“Mi sembri molto turbato da questo argomento.”
“Vedrai che poi sarai più sereno.”
“Ho deciso che dopo la tua morte gli organi ancora sani del tuo corpo li donerò per la ricerca o per operazioni di trapianto.”
“Così almeno faremo del bene a qualcuno, visto che questo tuo corpo già ora è uno spreco.”
“Quindi cerchiamo di farne buon uso almeno a tempo debito.”
“Ma questa volta secondo natura e non come aveva intenzione quel pazzo criminale del tuo addestratore.”
“Ciò che resterà poi lo farò cremare.”
“Ma signore, ecco...io preferirei... oso...”
“Tu non preferisci nulla, schiavo!”
“Tu sei mio e decido io cosa fare di te! Chiaro!?”
Io:”certo signore, mi scusi.”
Dicevo:”ti farò bruciare e ridurre ad una manciata di polvere e cenere.”
“Poi...vediamo...”
“Ecco, ti potrei mettere in quel posacenere sul tavolo e usarti per spegnere le mie "paine".
“Lo sai che ogni tanto mi viene voglia di fumare.”
“Come nelle sere del poker coi ragazzi, quanto farebbe comodo della sabbia lì dentro.”
“Siamo degli animali in quelle occasioni!”
“Ma è bello così, non trovi, schiavo? Ogni tanto lasciarsi andare...”
Ed io:”signore, non sta a me giudicare, io sono solo un servo.”
Il mio padrone continua:”tu poi sai bene quanti mozziconi devi buttare via quando alla fine pulisci tutto.”
“Così, potresti essermi utile anche da morto.”
“Non trovi sia una bella idea?”
“Fare di te della misera sabbia entro cui noi maschi potremo spegnere il piacere del nostro vizio.”
Sono alle lacrime e il mio padrone si accorge della mia condizione.
“Piangi schiavo?”Mi chiede forse impietosito.
“Signore”, singhiozzando,”sono commosso.”

Non pensavo, dice sul serio?”
E lui:”certo che sono serio!”
“Anzi, serissimo!”
Pensando che io sia turbato negativamente da ciò che mi ha appena detto, mi scruta attentamente.
Mentre io col cuore gonfio di riconoscenza rispondo:”grazie padrone!”

Grazie signore!”
“Grazie! Grazie con tutto me stesso!”
“Nessuno si è mai preoccupato tanto per me!”
Il mio padrone mi guarda esterrefatto, poi torna alle sue cose.
Forse ha già dimenticato tutto, ma io voglio sperare di sbagliarmi.




Schiavo Luca

mercoledì 28 dicembre 2016

SALA OPERATORIA

Capitolo 44


Mi sveglio di soprassalto.
Uno schiaffo sul viso potente e risoluto mi riporta alla realtà.
Una luce accecante a pochi centimetri dal mio viso non mi permette di capire dove sono, anche se dopo i primi attimi di stordimento mi rendo conto di essere nella sala operatoria che il mio addestratore si è costituito per i suoi loschi traffici umani e di cui io ora sono l'ultima cavia di una lunga serie di vittime.
Sono disteso sopra al lettino metallico come un pezzo di carne sul bancone del macellaio, pronto per...
“Svegliati merda!” Mi aggredisce.
“Adesso iniziamo a divertirci!”
E una risata mefistofelica rimbomba per la piccola stanza e nella mia testa.
Sono nudo, legato al lettino mani e piedi oltre ad una serie di cinghie di cuoio che mi stringono al piano gelido.
Al braccio entra una flebo, al dito un misuratore cardiaco, sul viso una maschera respiratoria che tra poco erogherà dell'etere per spedirmi nel mondo dei sogni.
Il mio addestratore è il peggiore dei sadici e mi tiene sveglio fino all'ultimo raccontandomi cosa vuole fare di me, deliziandosi in anteprima con le parole delle azioni di cui si macchierà tra poco.
E sarà il mio sangue quello che tingerà le sue mani.
Mentre si infila dei guanti in lattice mi spiega quanto sia redditizio oggi giorno il mercato del trapianto di organi e di come reperire un rene, un fegato o un cuore, non sia poi così difficile, se ci si muove con i giusti mezzi e tanto denaro.
Sudo freddo e cerco gli occhi del chirurgo che già si è sostituito nello sguardo folle del mio addestratore.
Mi spiega pazientemente, quasi fosse una persona completamente differente dal carceriere di poco prima.
Sembra quasi che mi parli con dolce compartimento.
Ma forse soltanto perché in me ora vede un guadagno e tanto, tanto denaro.
Denaro che io gli potrò fruttare.
Mi dice rincuorante:”adesso cominciamo con l'anestetico, poi inizieremo l'intervento vero e proprio, ma con calma.”
“Queste cose vanno fatte con delicatezza.”
“Partiremo asportando un rene, un polmone, buona parte del midollo spinale e sostituendo i tuoi testicoli con due protesi in silicone.”
“Tutte cose di cui puoi fare tranquillamente a meno...almeno per alcune settimane.”
“Poi, se tutto va come deve andare, ti spegnerai lentamente e allora la tua morte sembrerà normale.”
“A questo punto potrò dire al tuo padrone che sono affranto dal dolore per la tua scomparsa e farti riportare qui in modo da completare l'opera e asportare il resto.”
“Un peccato certo rinunciare al tuo cuoricino, così tenero di fanciullo, ma non posso correre rischi.”
“Siamo già nel mirino della "polizia" e bisogna stare attenti a come ci si muove.”

Intanto nella stanza attigua si sentono dei passi sommessi.
Il “chirurgo”:”bene, sta arrivando il mio assistente Erik, possiamo cominciare “
Io vorrei gridare, ma sono terrorizzato e so che non posso fare nulla.
Sono legato, imbavagliato e mezzo intontito dall'etere.
Ci vedo doppio quando ad un tratto un ombra si palesa alle sue spalle.
Un ombra alta e che io riesco a riconoscere.
È il mio padrone. Il mio signore.
Il mio re. Il mio bene più prezioso.
Ma tremo, perché forse questo mio destino è tutto concordato tra loro e ora lui è qui solo per vedere come procedono i lavori.
Invece mi sbaglio clamorosamente, poiché il mio principe alza la voce e rivolto al mio carceriere lo aggredisce dicendo:”ma che cavolo state combinando in questo posto.”
“Mi avevi detto che volevi dargli una lezioncina di comportamento, ma questa è una sala operatoria in piena regola.”
Le immagini sono confuse dai vapori dell'anestetico.
Intravedo i loro due corpi che si strattonano, che vogliono sopraffarsi l'un l'altro.
Le voci rimbombano nella mia testa:”delinquente, assassino.”
E l'altro:”è solo un gioco di ruolo, devi credermi, stavo mettendogli paura.”
“Certo, gli mettevi paura mandandolo al creatore ed asportando i suoi organi per rivenderli.”
“Magari te li hanno già pagati, brutto figlio di puttana!!!”
Il mio signore lo spinge contro il muro e brandendo un bisturi dal tavolo operatorio glielo punta alla gola e lo costringe a vuotare il sacco:”cosa cazzo volevi fargli?”
“Cosa volevi dal mio schiavo?”
“Ti ho sentito mentre dicevi che sei un trafficante di organi!”
“Pezzo di merda che non sei altro!”
“E volevi farmi pure passare da scemo!”
“Adesso liberi immediatamente Luca da questo cazzo di tavolo.”
“E poi ti dico io ciò che farai!!!”
“Tu e quel cazzo di finocchio che hai per casa!!!”
“Vi faccio vedere i traffici che farete in carcere per un tozzo di pane!!!


Sono i lampeggianti delle volanti della polizia che attorno alla villetta degli orrori, salutano il rombo dell'Audi del mio padrone, mentre ritorniamo a casa.
Lungo la via un agente, che prima ci aveva interrogato per la deposizione d'accusa, ci ferma.
Si abbassa al livello del finestrino e rivolto a me:”Luca, sei stato molto coraggioso e anche lei signore, un eroe.”
“Entrambi avete salvato un sacco di vite umane e sicuramente grazie a voi riusciremo ad aggiungere un tassello importante nella lotta contro questa criminalità sommersa.”
Io sono stravolto e accenno un sorriso, quasi non capendo più il senso di tutto quello che è accaduto.
Ma so di essere seduto accanto ad un eroe.
“Buon viaggio ragazzi!”
E l'agente si scosta lasciandoci passare.
È notte fonda quando rientriamo a Brescia.
Il mio signore non ha aperto bocca e lo vedo molto pensieroso e turbato.
Non oso disturbare la sua docile intimità così eloquente.
Appena in casa accenno ad inginocchiarmi per aiutarlo a togliersi le scarpe, ma la sua mano mi ferma decisa.
“Non sei abbastanza stanco stasera?” Mi chiede dolcemente.
Io non ho parole e mi immobilizzo davanti a lui.
Poi soltanto due parole:”riposati ora! Va!”
Con gli occhi pieni di lacrime lo guardo mentre pronuncio solamente:”grazie signore.”




Schiavo Luca

martedì 27 dicembre 2016

DOMENICA MATTINA

Capitolo 43


Dopo una nottata trascorsa al limite di un supplizio interminabile e di cui le mie braccia portano ancora i segni, vedo le prime luci di una nuova alba e attendo di essere liberato.
La notte, dolorosa e sofferta per le corde che mi legavano, si è tinta di un ulteriore elemento inquietante quando, verso le tre del mattino, si sono sentiti degli inequivocabili rumori riconducibili ad una intensa attività sessuale.
Il mio pensiero e la mia gelosia sono subito corse al mio signore mentre lo immaginavo alle prese con Erik nella ricerca di un piacere che io non potrei mai dargli.
Poi, a mente più lucida e ricordando la disposizione delle camere della casa, mi è venuto in mente che proprio sopra la mia testa c'era la camera da letto del mio addestratore.
Di conseguenza, la più probabile ipotesi, poteva più facilmente essere ricondotta a lui ed Erik, intenti in un amplesso acrobatico.
Ma solo rivedendo il mio padrone, avrei potuto dare una risposta a questo interrogativo notturno.
Ancona nel silenzio del primo mattino, ecco aprirsi la porta e il mio addestratore avvicinarsi silenzioso a piedi nudi, quasi come una pantera che si aggira per la gabbia pronta a saltare sul pezzo di carne lasciato apposta per essere squartato.
Ora è davanti a me e per liberare le mie braccia anchilosate dal calorifero a cui sono state appese e quasi disarticolate, si sporge, premendo il suo sesso morbido racchiuso nei sui slip contro il mio viso.
La mutanda è bagnata e mi ricopre tutta la faccia, quasi soffocandomi.
Un odore intenso di sesso, urine e sperma mi invade le narici.
Un aroma che conosco fin troppo bene, ma che ora, dopo aver servito il mio padrone, mi disgusta.

Allo stesso tempo però mi consola, confermando quell'ipotesi di amore clandestino che ha tormentato la mia notte.
Cado a terra come un sacco di patate e gemo per il dolore alle braccia.
Lui impietoso, non solo mi insulta, ma inizia a prendermi a calci dappertutto.
Solamente in posizione fetale riesco a sopportare i colpi e le botte che ricevo.
Intanto mi offende e mi insulta:”figlio di puttana! Che figura mi fai fare!” “Sei un miserabile!” “Sei una merda!”
Io non oso controbattere.
Taccio.
Mi chiudo in me stesso e vorrei spegnere l'interruttore della mia vita.
I calci finiscono, ma non ho il coraggio di aprire il nido protettivo fatto delle mie stesse carni.
Ma non devo attendere molto, ci pensa il mio carceriere a ridarmi una forma umana.
Mi fa mettere in ginocchio e dice:”merda, apri la bocca! Devo pisciare!”
Così inizio la mia bevuta, aspra, amara, tossica poiché il mio addestratore è fumatore e nelle sue urine si concentrano tutti gli scarti delle infinite sigarette che succhia avidamente fino al filtro.
Vorrei vomitare piuttosto che ingerire quel veleno.
Addirittura mi risulta difficile ingoiare, ciò che invece mi è congeniale col mio padrone.
Ho paura di rigettare il piscio sul tappeto, di non farcela.
Ma poi tutto si svolge come vuole il mio addestratore.
Mi afferra la gola con la sua forte mano.
La stringe e la rilascia più volte come fosse una molla fatta di cartilagini.
Così si rilassa la muscolatura e finalmente il liquido può scorrere dentro di me con naturalezza.
Lasciata la presa e terminata la pisciata, la mia gola inizia a farmi male. Male per davvero.
La stretta del suo pugno è stata brutale e il mio collo e la laringe ora ne pagano le conseguenze.
Ma questo problema, riguarda solamente me e il mio futuro.
Sempre che io ne possa avere ancora uno, domani.
Ora il mio addestratore siede sul divano in pelle e mi fa cenno di strisciare da lui.
Ubbidisco.
Poi, poche parole:”ora parla!”
“E cerca di essere convincente!”
La mia arringa di difesa, ha più i tratti di una invocazione pietosa.
E non nego che i miei occhi siano a terra a fianco dei suoi piedi, tanto mi sento inferiore e in difetto.

Mi appello a lui chiamandolo padrone, anche se il mio vero ed unico padrone è altrove.
Inizio, non so come:”padrone, io non valgo nulla, non merito niente e non sono niente.”
“Lo so, i suoi insegnamenti non sono stati vani e mi hanno reso consapevole della mia nullità.”
“Padrone, lei mi ha cresciuto e mi ha forgiato, ha piegato le fibre del mio corpo come ha voluto per farmi diventare uno schiavo adatto a servire altri uomini.”
“Padrone, io le devo tutto, perché la mia vita ora ha un senso e prima non valeva assolutamente nulla.”
“Padrone, da quando mi ha ceduto al mio attuale signore, la mia esistenza è cambiata, il mio esistere è vero, la mia giornata ha uno scopo.”
“Padrone, io sono felice grazie a ciò che lei ha fatto di me.”
Bruscamente mi interrompe:”MA ALLORA CHE CAZZO VUO!!!???”
Riprendo tremante:”Padrone, io ecco, vede, Padrone, io credo.”
“Mi sto incazzando”, sbotta!!!
Di nuovo:”Padrone, io, io...”
“IO AMO IL MIO SIGNORE!!!”

E con quell'affermazione sento il mio cuore scoppiare.
L'addestratore trasecola prima di stamparmi il secondo pugno sul muso.
Io penso di svenire sul colpo, ma lui mi afferra come una bambola di pezza.
Tonando:”TU NON SAI COSA STAI DICENDO!!!”
“TU, SCHIAVO DI MERDA, STAI BESTEMMIANDO!!!”
“NON TI RENDI NEPPURE CONTO CHE HAI DETTO LA CASA PIÙ SBAGLIATA CHE POTEVA PASSARE PER LA TUA MISERA TESTA DI CAZZO!!!”
“MA ADESSO CI PENSO IO A CAMBIARTI I CONNOTATI!!!”
“NON TI PREOCCUPARE!!!”
“SEI FINITO, IMBECILLE CHE NON SEI ALTRO!!!”
E detto questo, dopo aver premuto a terra un pulsante che apre una porta segreta nella parete di fondo, nascosta da una libreria, mi trascina in una seconda stanza che non è più una camera, ma una vera e propria sala operatoria.
A questo punto perdo i sensi e svengo a terra ai piedi del mio addestratore.
Cosa ne sarà di me!?




Schiavo Luca

lunedì 26 dicembre 2016

SABATO SERA

Capitolo 42


Il mio padrone parcheggia la sua Audi davanti alla casa del mio addestratore.
Nel frattempo è giunta sul suo cellulare una fotografia tutta per me, che il mio signore non esita a mostrarmi con una certa soddisfazione e che traspare dal sorriso sulle sue labbra.
Sopra ad un tavolo sono disposti ordinatamente: un grosso cazzo di gomma, un plug anale nero, pinze per capezzoli, corde, manette e due differenti frustini.
Sono percorso da un brivido di terrore, poiché conosco perfettamente ognuno di quegli oggetti e il dolore che provocano sul corpo.
Taccio e restituisco il cellulare nella mano aperta del mio padrone che lo reclama.
Anche lui guarda l'immagine sorridendo e senza chiedermi cosa ne pensi risponde al messaggio:”Luca ringrazia del pensiero.”
Penso: cosa dovevo aspettarmi da lui, un mazzo di fiori forse?
E sono infelice ma rassegnato.
So che è già tutto scritto e deciso.
Alla scena manca solo la mia sofferenza fisica e il mio dolore, ma tra poco anche questo tassello verrà colmato.
Il mio padrone scende dall'auto e mi prende per il collo tenendomi sollevato da terra, quasi fossi una bottiglia di champagne da portare in dono.
La sua mano mi stringe la trachea e fatico a respirare tanto che mi sento paonazzo in viso.
Ma per fortuna il mio addestratore apre in fretta il cancello automatico e si avvicina a grandi passi per salutare il mio re.
Io vengo dimenticato per qualche secondo, tempo necessario per riprendere vita e trovare un contegno adeguato.
Sono ai loro piedi, tanto vale restarci e baciare le scarpe di entrambi in segno di sottomissione.
Poi, saprà Dio, cosa ne sarà di me.
Il mio addestratore ci fa cenno di seguirlo in casa dove troviamo Erik, il nuovo schiavo personale del mio addestratore, che lui ama definire: compagno.
Ma tutti sappiamo che non è così semplice come sembrerebbe.
Ed Erik infatti si inginocchia e bacia le scarpe del mio padrone in segno di rispetto.
Erik è un bel ragazzo, più vecchio di me di una decina di anni, ma molto curato e dai lineamenti delicati.
È moro, alto, snello, lieve nei movimenti tanto da sembrare un ballerino.
E ciò affascina molto il mio addestratore che lo guarda con una certa soddisfazione.
Lui e il mio padrone si appartano qualche istante lasciandomi solo con Erik.
Poco dopo è il mio signore a dirmi di raggiungere il mio addestratore nel suo studio.
Così, a malincuore abbandono entrambi per l'ignoto.
Il mio addestratore mi attende ed io non devo farlo innervosire ulteriormente, tergiversando.
Lui è un uomo di media statura, molto più basso del mio signore, ma decisamente massiccio e muscoloso.
Un viso dalla carnagione olivastra che tradisce le sue origini del sud ed un antenato arabo.
Ed in effetti basta poco per immaginarlo a capo di una guarnigione berbera.
Ma restiamo ai fatti.
Entro nella stanza e la sua mano mi afferra al braccio come una tenaglia e mi sbatte a terra sul tappeto.
Si avventa su di me e mi schiaccia il viso con la suola delle sue sneakers logore dicendo:”schiavo di merda mostra al tuo addestratore cosa sai fare! Schiappa!”
E la mia lingua meccanicamente inizia il suo lavoro di pulizia tra le zigrinature di gomma della suola che lui preme sul mio viso fino a calpestarmi a terra.
In questa posizione mi parla con voce profonda:”ho saputo che hai fatto qualche casino.”
“C'era da immaginarselo da un tipo come te.”
“Avremo due giorni per capire per benino cosa hai combinato e cosa ti frulla per la testa.”
“Per ora voglio solo darti un piccolo assaggio, facendoti provare queste nuove mollette gialle che ho comprato apposta per i tuoi capezzoli.”
E dicendo questo mi preme un ginocchio sui genitali facendomi sussultare e mi appende le due innocue pinzette ai seni.
Ma confesso che non sento dolore. Probabilmente i miei tentativi autolesionistici coi quali, da solo, mi torturo i capezzoli per ingrossarli e renderli più femminili, danno i loro frutti.
Poi mi dice:”merda, ora ti alzi e con Erik e il tuo padrone andiamo in pizzeria.”
“Al ritorno sono certo che avrai qualcosa da dirmi.”
Così ci avviamo tutti insieme verso “L'antica lanterna”, ove, durante il mio apprendistato da schiavo, lavoravo come cameriere per pagare il mio addestratore.
La gestione è sempre la stessa e il proprietario, mi riconosce subito dandomi una pacca sulla spalla.
Ora le pinzette iniziano a farsi sentire, ma dissimulo il fastidio per non disturbare i padroni che intanto se la spassano.
Erik si accorge per primo del mio turbamento dicendomi:”Luca, conosco bene quella smorfia che hai sulle labbra.”
“Penso che il mio padrone ti abbia applicato le sue nuove mollette gialle.”
“Sbaglio?”
Il dolore si fa strada a morsi:”si Erik, mi sembravano innocue, ma credo di aver sottovalutato la situazione.”
Lui:”lo credo anche io, il dolore che provocano è crescente e all'inizio non si sentono neppure, ma lascia che ti scavino la carne e vedrai...”
E se la ride sotto i baffi perché per una volta non è lui il bersaglio del nostro comune addestratore.
Io sto già sudando freddo, inizio ad accusare dei tremori, oltre ad essere teso come una corda di violino.
Il mio padrone vede il mio disagio e chiede:”tutto bene, schiavo?”
Io balbettando:”ssssiiii ssssiiiignore tttttuutttto bene, gggggrazie.”
Lui:”meno male, mi sembrava di vederti turbato.”
E se la ridono tra loro.
Intanto l'addestratore fa cadere il tovagliolo a terra e comanda:”raccoglilo!!!”
Piegarmi a terra è deleterio e le mollette mi tagliano la pelle fragile dei capezzoli.
Il dolore si fa ingestibile e prego che la cena finisca rapidamente per tornare a casa.
Ma ciò sembra un miraggio irraggiungibile.
Dolce, caffè e limoncello.
Poi forse sarà il momento dei saluti.
Io sono allo spasimo e ora anche il mio padrone sa cosa mi sta paralizzando dal male.

Il mio addestratore gli ha mostrato una terza molletta che aveva in tasca lodandone le “indiscusse qualità”.
Se la ride col mio addestratore e intanto se la prendono con calma.
Poi finalmente a casa e di nuovo a rapporto.
Le pinze mi vengono strappate senza essere aperte.
Nessun segno di pietà.
Non resisto e grido per il dolore, a cui segue un pugno dritto in faccia che temo mi abbia spaccato il setto nasale.
Ma fortunatamente è solo un'impressione e lo spavento a farmi apparire tutto più grave del reale.
Mi tocco e il mio naso sembra sano.
Ora il mio addestratore mi aggredisce verbalmente diventando particolarmente aggressivo.
“Pezzente! Cosa ti è saltato in mente di fare il filosofo col tuo padrone?”
“Mi ha detto che gli hai fatto dei discorsi strani e che non sei felice di essere schiavo?”
“Ma che cazzo dici, imbecille!”
“Che ti sei messo in mente!”
“Attento bene a quello che dici, perché come ti ho creato ti distruggo!”
E detto questo mi lega i polsi dietro la schiena agganciandomi al calorifero in una posizione da slogare le spalle.
Mi stringe ancora la corda, in modo da reggere a lungo e, uscendo dalla stanza dice:”buona notte schiavo!”
“Domattina parleremo nuovamente.”
“E spero saprai essere convincente.”
Sbatte la porta lasciandosi al buio e ad una notte interminabile.
Attraverso la porta sento il mio padrone che viene invitato in soggiorno per due chiacchiere e poi sarà ospite del mio addestratore.
Se sarò fortunato lo rivedrò domattina.

Già mi manca il suo viso.



Schiavo Luca

domenica 25 dicembre 2016

CORSO DI AGGIORNAMENTO

Capitolo 41


Sabato pomeriggio e partiamo per Parma.
Ormai siamo alla resa dei conti.
Tra poco il mio padrone mi riconsegnerà nelle mani crudeli del mio addestratore perché io possa fare il mio “corso di aggiornamento”.
Purtroppo per me, so già in cosa consisterà questo addestramento aggiuntivo.
Ma tutto è già stato deciso dal mio signore di concerto con il mio addestratore che immagino mi stia aspettando a "braccia aperte".
Il mio padrone intanto è tutto eccitato mentre pigia il suo piede sull'acceleratore e la sua bellissima Audi Q5 aggredisce l'asfalto e il mio stomaco arriva in gola.
Qualcosa mi dice che sarà un viaggio breve, ma intenso.
Fortunatamente il mio signore ha deciso di farmi sedere al suo fianco e non accartocciato nel porta bagagli, peraltro minuscolo.
Siedo alla destra del mio signore e lo ammiro, lo adoro, lo amo.
Non ci sono diversi modi per descrivere il mio sentimento: è totalizzante e mi rende felice, nonostante io stia annegando in un mare di angoscia.
Mi dice:”dopo tanti sacrifici, non sei emozionato di rivedere il tuo addestratore?”
Si, perché in effetti il viaggio è stato preceduto da una serie di operazioni preparatorie di cui alcune davvero poco simpatiche.
Il mio addestratore infatti mi ha ordinato una rasatura totale di ogni pelo del corpo, in modo da essere liscio come una donna.
Ciò sicuramente per rendere più dolorose alcune torture e facilitare eventuali medicazioni estemporanee.
Inoltre un uomo senza pelo, che uomo è?
Non è più un maschio, ma un fantoccio, una femminuccia.
Che in questo caso ha le mie fattezze.
Dopo la depilazione è stata la volta di una bella pulizia esterna e soprattutto interna per mezzo di un grosso clistere depurativo di due litri col quale ho svuotato completamente il mio intestino tra dolori e crampi che non mi hanno ancora abbandonato completamente, ma che cerco di sopportare in silenzio.
Dopo il clistere salino, un messaggio sul cellulare del mio padrone, gli ha chiesto come ultimo atto preparatorio, di indurmi più volte il vomito perché svuotassi anche lo stomaco.
E questo è stato forse il passaggio più difficile, poiché in tal senso sono mio malgrado abbastanza forte.
Il mio proprietario però si è adoperato con tutta la sua astuzia per prepararmi a puntino.
Dopo aver provato ogni mezzo, arrivando ad infilarmi in gola di tutto tra cui anche un lungo attrezzo che usa per rabboccare l'olio della sua moto, alla fine è stata sufficiente una telefonata.
Si, una telefonata a Giada che, dopo essere arrivata in soccorso del mio padrone ed aver compreso il problema, ha lasciato, con sua somma grazia, tutta la situazione nelle bellissime mani del mio signore.
E ciò nel vero senso della parola!
Così, mi sono ritrovato con la testa tra le gambe divaricate di Giada e col naso a pochi centimetri dalla sua “fica odorosa”.
E forse già questa esposizione prolungata avrebbe sortito l'effetto sperato, se solo fossi rimasto lì a studiare da vicino un po' più a lungo "l'origine del mondo".
Tuttavia il mio padrone andava di fretta.
Aperta e penetrata dalle dita del mio signore, la vagina di Giada inizia a sciogliersi in una soluzione gelatinosa che lui raccoglie in un bicchiere sottostante.
Allungata dalla saliva di entrambi, più volte rabboccata a forza di sputi, alla fine il mio cocktail è pronto.
Il mio padrone e la dea si godono la scena, mentre io devo ingurgitare quel beverone terrificante e dal puzzo indescrivibile.
Persino loro, che ne hanno elaborato la ricetta, faticano a guardarmi disgustati.
Il mio signore intanto “filma” la mia performance, per poi inviare il video al mio addestratore.
Il bicchiere è maleodorante e melmoso.
Il mio padrone mi comanda:”ciak si gira! Bevi schiavo!”
Io non posso venire meno.
Mi avventuro e inizio ad ingoiare, ma il contenuto è tanto denso che si ferma in gola.
A questo punto cerco il respiro che si mescola degli umori vaginali di Giada.
Il conato di vomito è istantaneo e mi tuffo nel wc con tutto il capo svuotando fino alla fine ogni minimo residuo di cibo presente nel mio corpo.
Il mio padrone intanto se la spassa ridendo con Giada, complimentandosi con se stesso per quella perfida idea che ha permesso di raggiungere l'obbiettivo.
Ovviamente poi la dieta a seguire è stata ferrea.
Acqua, nulla di più.
Così ora sono qui, a fianco del mio signore, sulla sua Audi sportiva, ma ancora sottosopra e più vuoto delle mie tasche.
Il mio padrone guida con disinvoltura e parla al cellulare con i suoi amici, tanto che la mia presenza è irrilevante, tranne quando, arrivati all'autogrill, facciamo sosta.
Il mio signore odia i bagni pubblici, ma per fortuna ha il suo schiavo che all'occorrenza diventa il suo pisciatoio personale.
Nascosti sul retro, eccolo abbassare la zip dei suoi jeans e infilare il suo membro nella mia bocca.
Tutto è molto veloce e meccanico.
Io bevo avidamente e pulisco ogni goccia.
Ormai non temo rivali e sono felice di servire il mio padrone al meglio.
E anche lui è soddisfatto del mio operato.
Lo capisco senza ulteriori commenti da parte sua.
Si riparte e dopo poco in serata siamo a Parma.
Intanto il mio cuore è gonfio di agitazione.
Penso a mille cose e non so nulla su ciò che mi attende.
Il mio signore guida ed è silenzioso.
Anche lui sarà assorto nei suoi pensieri?
Chissà a cosa pensa un uomo come lui?
Quali interrogativi muovono il suo cervello?
Io non posso certo capire, ma solo ammirarlo di sfuggita, sprofondando nel sedile che sembra inghiottirmi tanto è morbido e accogliente.
E come è vera e reale la differenza tra noi.
Lui, il mio padrone, bello, potente, fiero e orgoglioso alla guida di un bolide per cui tutti ci ammirano invidiosi.
Io, da solo, un miserabile che elemosina il fango calpestato da altri uomini per sopravvivere.
E chino il capo verso le gambe, perché il mio signore non veda le lacrime che stanno rigando il mio volto e scavando la mia anima.
Ormai ho imparato a piangere senza farmi sentire.
Un lamento che grida solo dentro me stesso, ma che si spegne senza disturbare nessuno.
Il mio signore per primo, che ha diritto di godere una vita degna di tale nome.
Parma!
Il cartello autostradale mi salva dai miei pensieri.
“Ci siamo!”esordisce il mio padrone.
“Schiavo prendi il mio cellulare e avvisa il tuo addestratore che siamo arrivati.”
Squilla a vuoto...
Poi la sua voce severa incontra la mia:”Bene, ti stavo aspettando!”
Balbetto e chiudo la comunicazione restando in silenzio.
È scuro fuori dal finestrino e notte fonda nella mia anima.




Schiavo Luca

venerdì 16 dicembre 2016

UN NUOVO PAIO DI SCARPE

Capitolo 40


Vi sono mattine, come questa, in cui alzandomi dal letto vengo subito raggiunto da un profondo senso di nausea.
Mi sollevo e mi avvicino alla cucina per fare colazione, ma anche solo la vista del cibo acuisce ancora di più il mio malessere e non riesco neppure ad aprire la bocca per ingerire un goccio di latte.
Il mio padrone è già al lavoro, io inizierò tra poco a prendermi cura della casa e delle sue cose.
Insomma il mio compito di schiavo che si completa, oltre che nell'occuparmi della persona e del benessere del mio signore, anche per mezzo di uno scrupoloso e attento servizio tuttofare.
Così, svogliatamente, mi allontano dalla cucina, ma so già dove andrò a parare per trovare consolazione.
Ancora con lo stomaco sottosopra, mi avvicino a quella che ormai considero la mia seconda casa: ovvero la scarpiera del mio padrone.
Apro i cassetti e vengo subito investito da quell’odore virile di cuoio ben ingrassato, gomma, pellami trattati ad arte, ma anche sudore, umori maschili e fatica sportiva, che ormai fanno parte integrante del mio organismo.
Sono le essenze più vicine al mio padrone, quegli odori che si mescolano con il suo incedere, con le attività che svolge, con la vita che ogni giorno lo fa essere il mio senso esistenziale.
E con questi odori mi rianimo.
Il mio corpo trova una nuova vita, inspirando profondamente in modo da immergermi tutto alla ricerca di quella certezza a cui mi aggrappo e da cui traggo la forza necessaria per guardare avanti.
Osservo le scarpe del mio padrone e cerco il posto vacante, lo spazio in cui ieri sera erano adagiate quelle che oggi sono state prescelte per accompagnare i suoi piedi bellissimi in giro per il mondo.
Come le invidio dentro me!
Vorrei io stesso essere quelle scarpe che ora si piegano e si torcono, ed avvolgono amorevolmente al loro interno i piedi del mio signore.
Cerco e trovo il posto libero nella scarpiera e per esclusione, come se in testa avessi una sorta di archivio visivo, concludo che oggi il mio padrone stia indossando le sue Church’s nere a coda di rondine.
Scarpe bellissime e preziose di un cuoio lucido e lavorato a specchio in cui mi rifletto la sera, quando le pulisco, trovandomi persino bello, ma ciò soltanto perché la mia immagine riluce in esse, migliorandosi.
Accarezzo il vano ove poggiano quelle suole invisibili, quasi ricercando anche solo un piccolo granello di terra da portare alla bocca, da ingerire, per avere un se pur misero contatto col mio signore.
Tutte le calzature del mio re sono meravigliose: scarpe di marca, costose e con un loro carattere ben definito.
Persino le scarpe del mio padrone mi mettono in soggezione, tanto lo rappresentano, ma inevitabilmente ne sono attratto e schiavo.
Penso al mio signore e sospiro.
Penso a lui e lo amo.
Tocco le sue calzature e mi sento vuoto, proprio come queste scarpe che tristemente oggi sono chiuse in questo armadio.
Proprio come me, sigillato in questa casa ad attendere il rientro del mio signore.
Ricerco nella scarpiera le sue ciabatte, quelle che fino a poco prima erano sotto i suoi piedi.
Le stringo contro il mio viso, leccando disperatamente ove poggiano le sue dita, il tallone e la pianta, ricercando quel sudore che deve essersi depositato tra ieri ed oggi, poiché questo rito è quotidiano.
Il mio stomaco si apre solo ora e sento crescere un languore che per me
è diventato insaziabile: la fame del mio signore.
Un desiderio che è interno alle mie carni, che si fa strada in me e che ha necessità di nutrirsi di ciò che è il cibo di uno schiavo.
Confesso che questo alimento, indispensabile alla mia sopravvivenza, non è altro che il sudiciume che il mio signore calpesta sotto le suole delle sue scarpe.
Un cibo che non è alimento per nessuna specie vivente, ma lo è per me, che vivo e spero di poterne sempre reperire a sufficienza per il mio sostentamento.
Ecco perché ogni altra leccornia, ha perso qualsiasi interesse al mio palato, in confronto a ciò che posso trovare sotto le suole del mio padrone.
Mi rendo conto che questa affermazione sia sconvolgente e allucinante, ma tra un buon piatto di pasta e il sudiciume calpestato dal mio signore, non avrei nessun dubbio su cosa prediligere per il mio stomaco.
E credo che il mio signore sia consapevole di questa mia unica esigenza vitale.
A volte infatti al suo rientro, il mio padrone, guardando le sue scarpe, magari infangate o polverose, mi dice:”questa sera, schiavo, c'è parecchio cibo per te!”
E se la ride, forse immaginandomi con la bocca piena di quella melma che insozza le sue suole.
Ma io in quel momento invece già pregusto il mio pasto, che se è una punizione nella mente del mio re, è invece per il mio corpo la massima aspirazione.
Lascia le sue scarpe sporche ovunque mentre io stesso lo aiuto a indossare le ciabatte da casa o altre calzature laddove debba uscire nuovamente.
Oppure, quando mi consegna la sacca da calcio, per prima cosa ricerco sono le sue scarpette coi tacchetti.
Ed ogni volta, con mia grande letizia, le trovo avvolte da uno strato di fango e terra che certamente non andrà perduta inutilmente.
Ma sarà la mia cena, il mio pasto di schiavo, il mio premio, oppure nella testa del mio signore, la mia ennesima umiliazione.
Ma al momento ho per le mani le sue ciabatte, nulla di più.
Così mi devo accontentare di una magra colazione, leccandone le suole, ove solamente un po' di polvere e qualche sassolino mi daranno la forza oggi per restare in piedi.
Ma di colpo, la porta alle mie spalle, spalancata con voluta violenza, mi schianta contro il mobile della scarpiera, spalmando il mio viso contro le ciabatte del mio padrone.
È lui dietro di me e con tono seccato mi dice:”schiavo, ecco dove ti eri cacciato!”
“Dovevo immaginarmelo!”
Ed io:”padrone, ma come mai a casa oggi?”
Lui perentorio:”ho preso un giorno di ferie, e oggi intendo fare spese, mi è proprio venuta voglia di comprare un nuovo paio di scarpe.”
E lo dice con lo stesso tono di quando, con i suoi amici, parla di mollare una ragazza per una, a suo dire più “fica”.
Per il mio padrone, tutto ha il medesimo peso, all'infuori di se stesso ovviamente.
Una persona, un oggetto, un essere vivente, un sasso, tutto è uguale nella sua mente e ovviamente non vale nulla.
Ed io dove mi colloco in questa scala di valori?
Logicamente all'ultimo posto, sotto le suole delle sue scarpe.
Dopo il sudiciume di cui mi nutro.
“Schiavo!” richiamando la mia attenzione:”oggi andiamo in centro da Gianni, ha un negozio di calzature che ti farà impazzire.”
“E tu sarai il mio valletto personale nell'aiutarmi a scegliere un nuovo paio di scarpe degno del tuo padrone.”
“Signore”, balbetto,”non so come ringraziarla.”
E lui sorridendo:”sono certo, schiavo, che troverai il modo!”
...

Arriviamo in centro nel pomeriggio e subito il mio signore bellissimo si dirige verso il negozio di “Borghetti”, la boutique di scarpe più in vista della città.
Non vuole perdere tempo il mio padrone, oppure, più realisticamente, non gradisce farsi vedere in giro con un essere inferiore quale io sono.
E come biasimarlo...
Lo osservo dalla mia piccolezza e mi domando perché abbia voluto portarmi con se.
Lui è così bello, forte, sicuro e possente, mentre io, ecco... lasciamo perdere...
Entriamo nel negozio e subito osservo venire incontro al mio padrone il proprietario che, con un saluto caloroso e una stretta di mano lo accoglie dicendo:”finalmente posso rivedere il mio miglior cliente.”
E il mio signore:”Gianni, sei sempre il solito adulatore. Non cambierai mai, anche se forse è vero, ho talmente tante scarpe tue che potrei farti concorrenza!”
“Ma d'altronde il tuo è il miglior negozio della città e per i miei piedi, voglio solo il meglio!”
Entrambi ridono di gusto.
Poi il proprietario mi squadra dall'alto in basso con fare schifato, come a chiedersi: ma cosa è questa cosa?
Il mio padrone intuisce il suo disgusto e lo rassicura:”Gianni porta pazienza, è solo il mio schiavo personale non farci caso.”
“Non vale nulla, anche se questa volta, mi piacerebbe che fosse lui a servirmi.”
“Dagli uno dei tuoi grembiuli neri e qualche dritta su cosa deve fare.”
Io intanto sono con la testa tra le nuvole.
Il negozio è davvero una meravigliosa raccolta dei capi più belli di calzature maschili d'alta moda.
Church's shoes, Louis vuitton, Cesare Paciotti, Alessandro Dell'acqua, Tod's, Gucci, Prada.
Insomma tutto ciò che ho sempre sognato e non ho mai potuto vedere tanto da vicino.
Il negozio dei balocchi per uno schiavo che non ha neppure il senso di esistere.
Scarpe che non avrò mai il diritto di indossare, sono un servo, ma che desidererei almeno poter lucidare con la mia lingua, una volta nella vita.
In questo momento sono grato con tutte le mie fibre al mio signore.
Anche questa esperienza meravigliosa è merito suo e ne sto godendo grazie alla sua generosità.
Mentre il mio padrone sceglie con Gianni i modelli da provare, sedendosi poi ad attendere, sprofondando in una poltrona di cuoio anticato, il proprietario mi prende per la collottola, quasi fissi un cane, e mi trascina sul retro del negozio.
Mi dice severo:”faccio questo solo perché sono molto amico del tuo proprietario!”
“Sappi che tu e quelli come te mi fanno ribrezzo e per conto mio ti schiaccerei come uno scarafaggio sotto le suole delle mie scarpe!”
Io remissivo:”comprendo signore! Le chiedo perdono per ciò che sono!”
Lui:”taci merda! Prendi questo grembiule e legatelo in vita.”
“Poi porta questa pila di scatole al tuo padrone.”
“Sono i modelli che ha scelto.”
“Inginocchiati ai suoi piedi e aspetta!”
Ubbidisco e raggiungo il padrone.
Lui ironico mi osserva:”schiavo, ma come sei bellino vestito da calzolaio.”
“Non trovi Gianni?”
Non arriva risposta, ma solo un segno di assenso col capo.
Nel frattempo inizio ad aprire le confezioni ed a mostrare i modelli al mio padrone, che ovviamente li vuole calzare subito: è impaziente.
Lui si alza in piedi sopra di me che, come uno straccio, cerco di aiutarlo.
E consumo mani e ginocchia gattonando attorno a lui per cambiare i modelli, infilandoli e sfilandoli dai suoi piedi meravigliosi.
Nel frattempo entrano in negozio altri clienti, una giovane coppia e il proprietario ci lascia per andare da loro.
Ormai padroneggio abbastanza bene la materia.
Il mio signore è bellissimo ed ogni calzature gli dona alla perfezione.
Impossibile non apprezzarlo.
Io poi ne sono estasiato e lo ammiro.
Lui è ben consapevole di tutto questo e gioca con la mia miserevole vita, qualche volta calpestando le mie dita, altre volte con piccoli calci, oppure avvicinando le scarpe al mio viso per vedere se si intonano col colore della mia pelle, visto che spesso dovrò fare da poggiapiedi.
Il mio padrone diventa sempre più perentorio e mi umilia pesantemente arrivando a calpestare il mio corpo per provare la bontà delle scarpe, camminando sulla mia schiena.
Tutto ciò davanti al proprietario, alla giovane coppia di clienti ed alcuni passanti che osservano la scena dalla vetrina con morbosa curiosità.
Il mio padrone è sicuro di sé, non si vergogna di usarmi come una pezza da piedi, anche perché è ciò che sono.
Io intanto ho perso il senso del pudore e lascio che il mio signore faccia di me ciò che desidera.
Lo amo e sono disposto a tutto per lui e per farlo felice.
La mia schiena è a pezzi, ma non rinuncio ad essere calpestato e umiliato a terra.
Fino a quando il mio padrone si sofferma, seduto in poltrona, ad osservare meglio un paio sneaker di Yves Saint Laurent con borchie e fibbie.
Io sono a terra davanti a lui, come una pelle di vacca, col viso a pochi centimetri dai suoi piedi.
E attendo.
Mi comanda:”schiavo, fammele riprovare!”
Per aiutarlo non mi risparmio di certo e lascio che le punti contro la mia bocca per poterle indossare comodamente.
Poi ancora una passeggiata sulla mia schiena per concludere l'acquisto.
“Gianni”, esordisce,”anche questa volta le tue scarpe sono davvero inimitabili.”
“E questa volta non ti ho fatto neppure lavorare!”
Senza bisogno di nessuno comando, intanto rimetto in ordine le altre scarpe sparse attorno, restando sempre in ginocchio.
Il proprietario intanto parla con la giovane coppia di clienti, ma dopo poco li sento dire:”vorremmo anche noi essere serviti dal suo garzone.”
Il mio padrone e il proprietario all'unisono:”e perché no!?”
Così entrambi ora si godono la scena, mentre il ragazzo, un gran pezzo d'uomo,sicuramente giocatore di rugby, si siede in poltrona al posto di comando.
La sua ragazza cinguetta sul bracciolo, mentre lui già mi preme le sue sneakers sudice contro la bocca perché io gliele tolga.
Tutti si godono la scena piacevolmente eccitati da questa perversione inattesa.
Io ormai sono come un tappetino sotto i piedi enormi del ragazzo che, per divertire la sua compagna e farsi ancora più maschio, mi sta facendo letteralmente a pezzi.
Ma anche questo è il destino di uno schiavo.
Il mio padrone e il proprietario, dal bancone, se la ridono di gusto, mentre tra loro:”sai, forse dovresti mandarmelo in negozio una volta ogni tanto.”
“Penso che incrementerei parecchio le vendite!”
E il mio padrone:”si, hai ragione Gianni, vedo che il mio schiavo ci sa fare con i clienti.”




Schiavo Luca